Io potrei venirti a prendere in stazione. Avrei un po’ il fiatone. La stazione è grande e non si capisce mai da che parte andare. Ti direi Meno male che sei venuto. Roma fa schifo! Ti abbraccerei anche e tu non te lo aspetteresti. Poi ti trascinerei via dal binario, io cammino svelta. Te l’avevo detto che non dovevi venire da sola a Roma.
Non ho neanche dormito, ti direi, l’albergo è normale ma mi sono fissata d’avere le pulci nel materasso.
Ti direi di andare a mangiare, per venire da te ho inventato una scusa e ho saltato quel pranzo di lavoro. Tu per un po’ staresti zitto e io riempirò tutti gli imbarazzi con parole pieni di sorrisi. Non ti piacerò così sorridente, girerai il cucchiaio dentro il caffè, qualche volta di troppo, ma poi ti sembrerà normale e inizierai a raccontarmi del viaggio, dei chilometri di brina, di Paul Celane e di un toast freddo. Sarà pomeriggio quando ci infileremo tra gli scaffali a scegliere i libri e i dischi da comprare e quelli da insultare, mi appoggerò al tuo braccio decine di volte, berremo tanta acqua e ci dovremo sedere per terra per trovare un attimo di pace.
Solo lì starò un po’ in silenzio. Per poco.
Al binario arriveremo in ritardo, col fiato corto, perché a Roma non si capisce mai da che parte andare, ti lascerò quella foto e tu la terrai in mano senza guardarla.
Ci abbracceremo ancora, per poco.
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