Sempre di più il tema del diritto alla disconnessione entra nelle conversazioni, tra le persone, ma anche nel mondo del lavoro.
La Francia dal 1° Gennaio obbliga le aziende a fare attenzione alla “reperibilità” digitale fuori dall’orario di lavoro: basta email, messaggi, telefonate fuori dall’orario di lavoro. Syntec, federazione di ingegneri informatici, già tre anni fa aveva raggiunto un accordo che vietava l’invio di email dopo le 18. Volkswagen ha deciso di sospendere le comunicazioni ufficiali tramite gli smartphone fuori dall’orario stabilito (7-18).
Anche in Italia è presente l’esplicito diritto alla disconnessine all’interno del disegno di legge, approvato, sul “lavoro agile”.
Facciamo un passio indietro: quella schiavitù di oggi che era il mio asset 15 anni fa
Quando ho iniziato a lavorare nel digitale era da poco passato il 2000. Eravamo in pochi quelli a poter “vantare” quella che io nel curriculum avevo segnato come attitudine: always on. Nell’era pre-iphone e pre-Facebook e pre-whatsapp non tutti potevano permettersi una connessione 24/24 né telefoni particolarmente smart da rendere l’accesso ai sistemi così facile. Chi si attrezzava lo faceva soprattutto per passione, per attitudine. Doveva piacerti davvero. E questo ci rendeva un passo avanti rispetto agli altri. Proponevamo il lavoro agile in un mondo del lavoro tutt’altro che agile.
Ma di fatto eravamo pochi sempre sul pezzo, sempre online.
E ora? Tramite l’app Moment ho fatto una media di quante ore passo al cellulare e, oltre a non esserci alcuna differenza tra lunedì e domenica, mi aggiro intorno alle 6 ore/giorno.
Tanto, poco. Difficile da dire. Più facile descrivere la sensazione di non potersi mai perdere un aggiornamento, una notizia, una email, una comunicazione. Ormai questa sensazione l’abbiamo tutti. Come la paura di non avere mai abbastanza batteria o prese vicino per potersi ricaricare.
Quanto vale questo diritto alla disconnessione?
A parte l’ingenuità di far coincidere il diritto alla disconnessione con il mandare o ricevere le email, definizione limitata e fuorviante che esclude tutto il mondo dei social e delle app dai quali siamo ancora più dipendenti e che ormai vengono utilizzati come strumenti di lavoro. A parte questo, davvero possiamo disconnetterci? In questo ecosistema di lavori “agili”, proprio come 15 anni fa, essere online fa ancora la differenza. Ora solo ce ne vantiamo un po’ meno.
Pensiamo a tutti il mondo dei professionisti della comunicazione – social media specialisti, giornalisti, editor, uffici stampa, blogger – che sempre di più lavorano fuori dai contesti aziendali ma nella libera professione. Ma non solo: i corrieri dei vari DELIVEROO, Foodora. Gli autisti di UBER.
I pro e i contro dell’essere freelance li conosciamo bene: puoi lavorare dove vuoi, con i tuoi tempi, conciliando attività diverse, non sei schiavo del fantozziano cartellino e puoi decidere i tuoi processi, i tuoi clienti. Ma devi esserci. Sempre. Quante volte questa libertà si traduce nel dover essere sempre online per non rischiare di perdere possibilità e clienti?
Il diritto alla disconnessione sta diventando un altro diritto per chi di tutele ne ha già. Malattia, ferie, pensione, diritto a disconnettersi, a fermarsi.
Per i freelance ci sono le varie to do list, le giornate di digital detox, la mindfulness.
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