Quando vedo sui social foto di colazioni con porridge mi viene sempre in mente di quando mio fratello viveva a Londra. Era incredibile che fosse lì, perché io, secondo me, avevo proprio la testa giusta per essere lì, dormire in ostello, lavorare in un pub e suonare la chitarra a Hyde Park. Invece io ero a Milano, con il mio bambino piccolo e lui che era il bambino piccolo di casa era lì, a fare quelle cose. Comunque si era preso una brutta influenza e noi da qua eravamo un po’ preoccupati, mia mamma si stava organizzando per spedirgli degli antibiotici. E’ strano pensare a come si svolgessero le cose a quei tempi, a come le distanze si sentissero, quanto costasse fare una telefonata dall’estero e cose così.
Poi mi raccontò che la cuoca del locale dove lavorava lo aveva visto molto ko e gli aveva preparato il porridge: mi descrisse questa tazzona enorme, piena di fiocchi d’avena gonfi e papposi di latte, insapore, né dolce né salata, calda, decorata con tre – dico, tre – fette di banana. L’aveva mangiata per non offenderla credo.
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